Ho ritrovato i miei ricordi
" Si, tienimi stretta, ma permettimi di rifugiarmi ancor nei miei ricordi, solo per sognare! "
Uscita dalla sala cinematografica, Francesco salutò in fretta le due amiche con la scusa di avere una forte ed improvvisa emicrania e poi si diresse, sola, verso casa sua.
Guidava come in trance attraverso il centro di Pisa, incurante della vista degli antichi palazzi e delle strade del centro affollate dagli studenti universitari che amavano attardarsi fuori casa per assaporare, nelle vuote o interessanti conversazioni, il tepore primaverile.
Nell’ animo e nel cervello di Francesca rimanevano intatte le emozioni ricevute dalla visione del film ed era consapevole del transfert che aveva vissuto: c’era stato un momento in cui le era sembrato di identificarsi con la protagonista della pellicola appena vista.
Il film trattava una vicenda con accentuati risvolti introspettivi; il personaggio principale femminile, Helen, rifiutava di crescere psicologicamente per non dover affrontare situazioni dalle quali temeva di ricevere dolore e per le quali non si sentiva in grado di reagire; per rifuggire dalla realtà che riteneva e temeva dolorosa, si raccoglieva nel proprio mondo interiore, quello legato alla fanciullezza: soltanto l’amore e la comprensione da parte dell’uomo che l’amava riuscivano a farle superare il blocco psicologico che le impediva di vivere e di amare serenamente; infine, l’ultima battuta del film era sembrata a Francesca come un messaggio: è importante utilizzare bene i propri ricordi!
Mentre scorrevano le didascalie di coda Francesca aveva avuto la sensazione di aver ricevuto una rivelazione: aveva capito quanto fosse importante avere dei ricordi nei quali trovare rifugio non per sfuggire dalla realtà, ma per acquistare nuova forza per poi riprendere e riaffrontare la realtà.
Durante la visione del film Francesca avrebbe voluto piangere, senza un vero motivo, se non quello della propria solidarietà emotiva nei confronti della protagonista ma, al chiuso della propria vettura, si rese conto che la propria malinconia era dovuta al fatto che lei, a differenza di Helen, non aveva avuto mai ricordi, tristi o lieti, né sogni legati ai ricordi, o forse, si disse con sincerità, si era negata ai ricordi.
A trentasei anni, al buio di una sala cinematografica, Francesca aveva scoperto che i sogni sono legati ai ricordi dell’infanzia e su quelli si inventa o si costruisce in maniera più o meno consapevole: sui ricordi di allora!
Mentre guidava la sua vettura sulla via di casa all’improvviso rifletté che, in effetti, aveva seppellito la parte della propria vita che riguardava l’infanzia sotto un grosso masso inamovibile ed allora la dolce malinconia che l’aveva pervasa prima, inducendola anche al pianto, lasciò il posto alla nostalgia che la coglieva quando rifletteva ai "se non fosse successo…", interrogativi che già in diverse occasioni le si erano presentati alla mente, ma che aveva subito accantonato, senza fermarsi ad analizzarli per trovare una risposta.
Francesca si reputava una donna moderna ed in quanto tale aveva deciso di essere cerebrale, senza alcuna indulgenza verso inutili sentimentalismi che giudicava inopportuni perché non avevano alcun risvolto concreto.
I suoi "se…" appartenevano al passato, e quei " se…" nel seguire una propria strada, le aveva condizionato la vita, per questo motivo Francesca aveva sempre reputato inutile pensare come sarebbe stato il suo passato "se…"!
I "se" di Francesca erano legati alla morte prematura ed accidentale del padre, avvenuta quando lei aveva poco più di nove anni.
Francesca aveva fatto appena in tempo a nascere a Pisa, città dei suoi genitori quando questi si trasferirono in un paesino in provincia di Siracusa perché il padre, ingegnere minerario, era stato incaricato dalla società presso cui lavorava, di effettuare i controlli di routine presso alcune zolfatare siciliane.
Assorbito dal proprio lavoro, l’ingegnere Maestosi era sempre fuori casa; la madre di Francesca aveva dato alla luce un’altra bimba e si occupava della casa e delle figlie; aveva cercato di farsi accettare dalle donne del posto ed era diventata severa, pacata, impartendo alle figlie quell’educazione che lei stessa non avrebbe voluto per sé, ma che le sembrava opportuno dare per adeguare la crescita delle figlie a quella delle altre bambine del luogo: moralità, moralità ed ancora… moralità, che in definitiva si riassumeva in uno: "State attente con chi state, con chi andate, state composte, non fatevi mettere le mani addosso o diranno che…! "
Francesca non aveva mai sentito la fine di quella frase, e nella sua mente di bambina si era formata l’idea che dovesse trattarsi di qualcosa di particolarmente brutto se era impronunciabile.
Francesca viveva la sua infanzia serenamente con la sorellina e le coetanee. Poi, una sera era giunta la terribile notizia: era crollata una miniera e, con diversi minatori, era rimasto sepolto l’ingegnere Maestosi.
Francesca era presente mentre la notizia veniva data alla madre ed il suo grido di dolore le era penetrato nelle orecchie e poi le era sceso nel cuore che le era sembrato si dividesse in due, poi ammutolita, aveva visto la corsa frenetica della madre che, seguita da tante altre donne giunte in casa all’improvviso, si dirigeva verso la campagna, verso il lungo stradone pieno di sole accecante per il quale dopo, qualche ora di cammino, si giungeva alla
miniera.
miniera.
I ricordi di Francesca si fermavano sempre lì, in quel momento triste e riprendevano a Pisa, ormai studentessa, sempre insieme alla madre vestita a lutto, ed alla sorella che, per la verità, cercava di sfuggire la loro compagnia e preferiva circondarsi di amici allegri e chiassosi come era lei.
Gli anni di scuola erano volati via; si era laureata in Lettere ricevendo il plauso del Rettore; aveva insegnato come supplente per qualche tempo e, vinto il concorso di stato, era diventata insegnante di ruolo presso una scuola media.
Mentre era studentessa universitaria aveva conosciuto Andrea; aveva accettato la sua richiesta di matrimonio dopo aver superato non pochi momenti di angoscia al pensiero di dover lasciare la madre ed aveva deciso di sposarsi solo quando questa l’aveva rassicurata più volte che non avrebbe sofferto la solitudine, ma, al contrario, avrebbe trovato un altro figlio, "e poi", aveva aggiunto guardandola al di sopra dei suoi occhiali da presbite, "e poi sarò occupata dai tuoi… figli! " .
Erano trascorsi cinque anni da quando si era sposata, ma a volte Francesca continuava a chiedersi se il sentimento che la univa ad Andrea fosse amore, bene, amicizia o… opportunismo; a questo punto si sentiva in colpa e non sapeva neppure dire se era felice o meno. Si dava della cretina ed anche dell'ingrata perché la vita le aveva consentito di aver un buon marito: oltre ad essere un bell’uomo era sempre disponibile e con lui aveva vissuto momenti belli, sereni, non avrebbe saputo spiegarne il perché ma sapeva che la loro unione era serena, tranquilla e scorreva sui binari di un solito tran tran. Lei cercava di essere sempre disponibile con Andrea: mai discussioni, mai litigi, e del resto neppure il marito le dava mai occasione per litigare. Anzi, e di ciò Francesca era ben consapevole, Andrea cercava di prevenire qualunque desiderio e sembrava sempre disposto ad appianarle qualunque difficoltà.
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Quando si domandava se rendeva felice il marito rispondeva positivamente; eppure viveva questo "renderlo felice" come un dovere. A volte le sembrava di aver sposato Andrea soltanto per evitare di rimanere zitella, perché, come diceva qualche sua amica "nubile" non per libera scelta ma perché non aveva trovato l’anima gemella, è sempre meglio avere un uomo vicino che vivere sola!
Questo pensiero, tuttavia, la faceva sentire a disagio, e allora cercava di rassicurare se stessa dicendosi che quelli erano discorsi stupidi perché lei voleva veramente bene ad Andrea.
In quel conflitto di pensieri chiudeva la porticina della propria mente ed indirizzava le proprie attenzioni su qualcos’altro che non la coinvolgesse emotivamente od affettivamente.
A casa Francesca si ritrovò sola, il marito non era ancora tornato ed allora decise di andare a dormire. Mentre si spogliava in camera da letto, si vide riflessa nel grande specchio dell’armadio; indossò la camicia da notte, di lino bianca dai tenui ricami sul carré e sulle maniche e le tornò alla mente il ricordo del suo primo rapporto sessuale consumato con Andrea dopo il matrimonio.
Immobile si guardò allo specchio: il ricordo la riportò alle carezze di Andrea che diventavano sempre più totali nel grande letto dell’hotel Bristol a Roma; sapeva e capiva che quella prima sera di totale intimità doveva concedersi totalmente all’uomo dal quale si era lasciata sposare eppure il suo corpo rifiutava di affrontare il passaggio che l’avrebbe resa donna.
Ricordò come aveva sofferto quando il marito, pur se con molta delicatezza, l’aveva deflorata; ma, in effetti, nemmeno in seguito, il più delle volte, era riuscita ad avere un rapporto indolore.
Ne avevano parlato insieme, tanto tempo prima, quando una sera, senza volerlo le era sfuggito "scusa", e aveva creduto di doverlo rassicurare dicendogli che con il tempo avrebbe superato quel disagio.
Andrea aveva continuato ad essere molto affettuoso e comprensivo anche dopo quella sera.Laureato in Lettere anche lui ed insegnante presso un Istituto Superiore, Andrea riusciva ad avere un rapporto confidenziale e costruttivo con i giovani alunni; proprio per questo motivo diceva, pur se scherzosamente, che capiva i problemi altrui; così aveva cercato di spiegare a Francesca che probabilmente lei aveva qualche problema "magari nascosto" e aveva aggiunto, come se dicesse qualcosa di molto importante:"Perché non consulti uno psicologo? "
Francesca aveva messo il broncio, si era offesa; aveva il subdolo timore che il marito potesse avere ragione ma riteneva di avere avuto una vita abbastanza felice, eccettuato la morte del padre, per cui aveva snobbato il consiglio del marito ed aveva preferito consultare un ginecologo.
Al medico aveva confidato che il rapporto con il marito era quasi sempre un supplizio; dopo una visita accurata si aspettava una richiesta di esami, una serie di medicine da ingurgitare, era pronta a tutto pur di apparire più rilassata nel suo rapporto con Andrea ed invece la domanda del ginecologo, fatta quasi con tono indifferente, l’aveva lasciata perplessa:
" Lei ama suo marito? ". Era rimasta sorpresa ma dopo un attimo di silenzio, aveva risposto sinceramente convinta:
"Si… credo di sì! "
"Si… credo di sì! "
Non aveva osato chiedere il motivo di quella domanda, e quando entrambi furono seduti alla scrivania, il medico le spiegò:
" Il suo dolore ed il suo rifiuto ad avere rapporti sessuali potrebbero trovare origine in qualche passata esperienza negativa, in qualcosa di spiacevole che lei ha vissuto. Non ricorda nulla? "
"No, non credo, non ricordo!" aveva risposto e, quasi con vergogna, poi aveva aggiunto in un soffio " Devo andare da uno psicologo? "
"Se non riesce a trovare da sola il perché del suo problema, forse potrebbe esserle utile! "
Francesca aveva taciuto ad Andrea quella parte del colloquio e…non era andata dallo psicologo!
Questo era accaduto circa due anni prima; né lei né Andrea erano più tornati su quell’argomento. Ma adesso la visione del film le aveva fatto riaffiorare alla mente quei vecchi discorsi, quel suo problema, e provava invidia per la bella Helen perché se anche lei aveva veramente qualche problema nascosto le sembrava triste e deludente accettare che per affrontare questo ‘"maledetto e nascosto" problema doveva andare da uno psicologo, raccontare ad un estraneo la propria vita alla ricerca di che cosa poi, ed invece nei films fanno vedere certe cose irreali, come in questo caso: l’amore di un uomo era stato sufficiente a far superare a quella Helen tutti i suoi catastrofici problemi.
Ripensò al protagonista maschile, alla sua personalità sicura, decisa e sorrise al pensiero che era stato bravo: oltre che amare la sua donna aveva compreso come aiutarla perché si sbloccasse ed Helen non aveva fatto altro che lasciarsi guidare!
Lei, invece, si disse con amarezza, sarebbe dovuta andare da uno strizzacervelli!
Si coricò prima che Andrea tornasse, nella segreta speranza di addormentarsi presto.
Da qualche tempo Andrea e Francesca avevano adottato uno strano mènage che l’uno cercava di far apparire casuale all’altro: la sera non andavano più a dormire contemporaneamente: o lui, impegnato in attività di volontariato, aveva qualche riunione o lei si fermava un po’ di più a casa della madre: era sufficiente una telefonata per informare l’altro che si trovava già a casa:
" Stasera farò più tardi, non stare in pensiero! "" Va bene caro - o cara -, ciao allora, e ti auguro adesso la buona notte nel caso mi trovi addormentata quando rientri! "
In effetti, per evitare di trovare il partner sveglio, il che avrebbe implicato una richiesta sessuale da parte di Andrea, ciascuno credeva di apparire naturale raggirando l’altro.
Andrea voleva un figlio, Francesca opponeva deboli scuse.
A letto, dopo aver spento l’abatjour, mentre tentava di addormentarsi, vennero in mente a Francesca i vari sotterfugi adottati per rifiutare di fare l’amore con il marito e, per la prima volta si domandò il perché di tale comportamento visto che quando Andrea non era a letto con lei ne desiderava il contatto, così come avrebbe voluto in quel momento.
Si domandò se tale rifiuto non era una conseguenza del fatto che non voleva mettere figli al mondo; si immaginava inadeguata ad affrontare il ruolo di madre.
Come si sarebbe comportata se avesse avuto un figlio? Come l’avrebbe educato con tutti i problemi che oggi esistono al mondo?
Sì, aveva paura!
E se fosse stata una figlia? Oddio, una bambina! E come si vive tranquilli con una figlia che magari, cosa augurabile, risulta anche carina? E cosa fare di fronte agli altri, ai ragazzi, agli uomini che cominciano ad osservarla, a guardarla, a…toccarla!
Grazia osservava la sua padrona che, indaffarata e triste, si aggirava nella casa silenziosa per radunare tutto ciò che doveva portare via.
"Signora, ma è proprio necessario che ve ne andiate, perché non restate a Siracusa? "
"Signora, ma è proprio necessario che ve ne andiate, perché non restate a Siracusa? "
Mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, e ciò le succedeva sempre più di frequente, la vedova Maestosi guardò con riconoscente affetto la sua donna di servizio che, come per tutti gli anni trascorsi in quel paesino vicino Siracusa, le era stata particolarmente vicina in quel triste periodo.
"No, Grazia, ormai è inutile rimanere qui; e poi… in questa casa, in questo paese, ho tanti ricordi che stanno diventando mesti ogni giorno sempre più. Torno a Pisa, dai miei; loro stanno insistendo e forse hanno ragione. Del resto qui sono sola! "
"No, Grazia, ormai è inutile rimanere qui; e poi… in questa casa, in questo paese, ho tanti ricordi che stanno diventando mesti ogni giorno sempre più. Torno a Pisa, dai miei; loro stanno insistendo e forse hanno ragione. Del resto qui sono sola! "
Grazia torceva con le mani il suo grembiule: avrebbe voluto trovare le parole più giuste per convincere la signora.
"Le bambine potrebbero trovarsi male lassù, ormai sono abituate qui: crescono libere, senza problemi. E poi, pensi a questo bel clima, a questa bella casa! "
"Le bambine potrebbero trovarsi male lassù, ormai sono abituate qui: crescono libere, senza problemi. E poi, pensi a questo bel clima, a questa bella casa! "
Lo sguardo di Grazia scivolò attorno mentre si pentiva per le ultime parole dette; l’affetto verso la sua padrona, verso le due bambine che aveva cresciuto con i propri figli, le facevano dire frasi non adatte a quel momento.
Solo allora Grazia capì che quella casa, alla signora Maestosi, non interessava più, ora che non c’era più il marito, la signora doveva sentirsi come un ramo spezzato: cosa avrebbe fatto lei se le fosse capitata una disgrazia simile? Rabbrividì intimamente e capì che forse era giusto che la signora tornasse a Pisa, dai suoi genitori, e così aggiunse:
"Speriamo che le bambine non siano molto tristi per la partenza! "
Le bambine! La signora Graziosi aveva avuto sempre l’abitudine di non perderle mai di vista ed il suo controllo era divenuto più costante e severo durante quei pochi mesi dopo la morte del marito.
" Giorgia, Francesca, dove siete? …Con chi siete? …Cosa fate? Francesca, sei grande, abbassa la gonna, Francesca, siedi composta! Ormai non c’è più vostro padre e tocca a me sola sorvegliare te e tua sorella! "
Francesca tentava di addormentarsi per non farsi trovare sveglia da Andrea ed ecco le risuonò alle orecchie la voce della madre che la stava chiamando:
"Francesca, dove sei? "
"Sono qui, mamma".
" Qui dove, vieni dentro, ma con chi sei? "
Nel suo letto, Francesca strinse i pugni vicino le tempie, serrò forte le palpebre nel tentativo di mandare indietro i ricordi. Si rese conto che non era più tornata a Siracusa, né aveva avuto mai desiderato tornarvi.
Francesca aveva sempre pensato che, per la madre, il periodo trascorso in Sicilia fosse un intervallo di tempo ormai chiuso, del quale non era opportuno parlare; aveva sempre creduto che fosse legato a qualcosa di doloroso, forse di vergognoso.
Mentre il sopore del sonno combatteva per farle superare la soglia del dormiveglia, Francesca si sentì avvolta da una strana sensazione e mentre Morfeo, complice del desiderio di Francesca, stava per farla addormentare in modo da non interferire con il proprio passato, da qualche cellula del suo cervello, che si era stancato di tacere, partì una domanda che fece aprire di colpo gli occhi a Francesca:
" Ma perché poi non parlarne? Perché è morto papà? Ma mia madre ha continuato a vivere, a ridere, ad amare noi figlie, ad amare i fiori…! "
Un sordo rancore nei confronti della madre prese corpo nel suo cuore.
" Perché mi sono lasciata condizionare? ", si domandò.
Pur ammettendo che la madre avesse dato un taglio al periodo trascorso in Sicilia, perché, si chiedeva, lo aveva fatto anche lei?
E pensare che forse gli anni trascorsi laggiù erano stati i più belli della sua vita; dopo, si era sentita sempre una "trapiantata" , anche se più di una volta si era detta in passato che questa era solo una sensazione personale. Ormai quasi nessuno sapeva che aveva vissuto diversi anni in Sicilia.
Una strana malinconia la stava inducendo al pianto, un pianto silenzioso, senza lacrime, un pianto del cuore legato ad una improvvisa nostalgia, quella di ritornare "laggiù" !
Chissà come erano cambiati i luoghi dove aveva trascorso la sua infanzia. E le compagne di allora, chissà cosa facevano? Ed i loro fratelli? Aveva tanto desiderato, inutilmente, impossibilmente un fratello! Francesca avrebbe voluto continuare a pescare nei ricordi di allora, ma le sembrò che la sua mente stesse per chiudere una porta dalla era riuscita a passare un po’ d’aria.
Attraverso un piccolo spiraglio di quella porta intravide il giardino della sua casa a Siracusa; in quel giardino troneggiava un grande albero di fico che emanava un gradevole odore dolciastro. E poi c’erano tanti fiori, coltivati da sua madre, e le piante di oleandro dove Francesca andava a cercare gli scarabei colorati che vi si andavano a nascondere attratti dal profumo dei fiori.
Dopo la morte del padre la piccola Francesca era andata spesso a rifugiarsi nel giardino, ed ora capiva perché: voleva fuggire dall’atmosfera pesante, di lutto, che ormai si respirava nella casa silenziosa, dalle imposte chiuse.
Francesca mandò via questo pensiero triste e preferì indugiare sul ricordo di quel giardino; ricordò che era immenso, ma si domandò se fosse realmente così. Il giardino circondava la piccola villetta nella quale abitava la famiglia Graziosi e, quando era triste, Francesca vi si rifugiava sul retro, dove vicino alcune piante di ficodindia, qualcuno, molto tempo prima, aveva creato un rustico sedile con delle grosse pietre squadrate.
"Svergognata "!
Nel ricordo, Francesca si toccò, istintivamente la guancia!
"Torna dentro, e tu piccolo lazzarone, guai se vedo te o tua sorella, ancora qui attorno "!
Dopo il sonoro ceffone, la madre aveva condotto la piccola Francesca dentro casa, in quel buio reso ancora più opprimente per il divieto di andare fuori, in giro.
Francesca piangeva. Per il dolore dello schiaffo? Per la mortificazione subita per essere stata punita dinanzi al compagno?
La piccola non rivide più i compagni di gioco; alcuni giorni dopo quell’episodio -o fu il giorno dopo- la vedova Graziosi, con le due bambine partì per quel lungo viaggio che le ricondusse a Pisa.
Francesca non aveva più pensato a quell’episodio, né al viaggio che aveva vissuto come una punizione e che invece, non aveva capito, era stato deciso già da tempo.
A Francesca tornò alla mente il volto bruno del ragazzo che aveva provocato le ire di sua madre: Sasà aveva quattro anni più di Francesca e aveva tenuto sempre la bambina sotto la propria ala protettrice, forse perché Francesca non aveva un fratello che la difendesse oppure perché a lui sembrava giusto difendere quella bimba così minuta, così bionda, da quegli altri compagni tanto diversi da lei. A Francesca sembrava di lavorare attorno ad un puzzle mentre tentava di dare ordine e logicità a quell’improvviso affiorare di ricordi. Ecco i puzzle andare ciascuno al proprio posto: lei era triste per la partenza imminente che l’avrebbe sradicata da quel luogo che considerava il proprio, così si era rifugiata nel giardino e lì aveva trovato Sasà che era riuscito ad arrampicarsi e a saltare il muro che circondava il retro della casa; quando l’aveva vista così triste per la partenza, Sasà l’aveva abbracciata e poi, come si fa con un bambino piccolo che si vuole rasserenare, l’aveva cullata, tenendo poggiata la testa della bambina sul proprio petto di ragazzo:
"Vedrai", la incoraggiava, "starai bene anche a Pisa e poi, chissà quante volte tornerai a trovarci"!
"Vedrai", la incoraggiava, "starai bene anche a Pisa e poi, chissà quante volte tornerai a trovarci"!
La signora Graziosi li aveva trovati in questo affettuoso atteggiamento e, forse per evitare la nascita di qualche tenero sentimento, aveva mollato quello schiaffo alla figlia, relegandola in casa.
La piccola Francesca tuttavia, più che dallo schiaffo, era stata mortificata da quella parola
"svergognata"; senza dubbio, e senza saperlo, aveva commesso quella cosa terribile che le donne serie non devono fare!
"svergognata"; senza dubbio, e senza saperlo, aveva commesso quella cosa terribile che le donne serie non devono fare!
Un sorriso benevolo increspò le labbra di Francesca per quella bimba che non aveva commesso nulla di tanto grave da poter giustificare quello schiaffo e quella parola. Ma quella bambina era… lei!
Una tristezza sconsolata invase il cuore di Francesca. Ecco come si era sentita a nove anni: triste!
Ora avrebbe voluto essere cullata come allora: non importa se a cullarla non c’era Sasà. Avesse avuto almeno Andrea! Per la prima volta rimpianse la vicinanza del marito.
Sasà! Chissà cosa faceva adesso? E Trisina? Ed il giardino, sarà stato ancora lì ad aspettarla?
Volle forzare i ricordi e cominciò a frugare nel giardino. Dal giardino si vedeva il mare, era sufficiente salire sul muretto, aiutata da Sasà, ed a volte riusciva a percepire anche l’odore della salsedine; e poi, che bei colori aveva il cielo, ed il mare, ed anche i fiori. Le sembrava, adesso, di non aver visto mai più colori così belli!
Come sarebbe stata la sua vita se fosse rimasta laggiù in Sicilia? Sicuramente, se suo padre non fosse morto, lei non avrebbe avuto motivo di essere triste. Non sarebbe neppure partita, e Sasà non avrebbe dovuto abbracciarla per consolarla e la madre non l’avrebbe rimproverata e lei… lei non si sarebbe portata addosso -ora lo capiva- quello stupido senso di colpa come se avesse veramente commesso qualcosa di irreparabile e che l’aveva bloccata durante quegli anni successivi.
"Ma allora, si chiese, come mai mi sono sposata" !
Già come mai aveva accettato di sposare Andrea? Forse, si disse, perché Andrea era un po’ come Sasà: pronto a capirla, a cullarla e lei, non aveva compreso l’amore del marito, ma l’aveva anche allontanato da sé.
Senza rendersene conto si era portata addosso un peso inutile durante tutti quegli anni, qualcosa che non era mai esistito; aveva ingigantito un episodio che, certamente, sua madre non ricordava più e del quale non avrebbe mai immaginato le conseguenze. La piccola Francesca aveva interiorizzato a modo proprio l’educazione ricevuta, vivendo con vergogna quel tenero trasporto infantile che aveva cancellato dalla sua mente.
Finalmente Francesca si addormentò e per la prima volta, desiderò sinceramente avere vicino il marito. Andrea, invece rientrò molto tardi e si coricò cercando di non farsi sentire da lei: preferiva saperla addormentata piuttosto che ascoltare qualche debole scusa alle proprie avances.
Al mattino, appena sveglia, Francesca si soffermò a guardare il marito addormentato mentre nuove emozioni e sensazioni la inducevano ad accarezzarlo, gli avrebbe raccontato tutto non appena si fosse svegliato. Ma poi si trattenne e decise:
"Sarà meglio aspettare. Prima devo tornare in Sicilia. Sino ad allora cercherò di dimostrarti che ho imparato ad amarti. Ma voglio anche imparare a ricordare, perché ho capito che dipenderà soltanto da me trasformare le paure passate ed i timori presenti in una vita senza fantasmi dove io sola potrò inseguire i miei sogni e dove io sola potrò costruire il mio presente".
Caudia Lo Blundo
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